di Salvatore Claudio Sgroi *
Che cos'è la linguistica educativadi Massimo Vedovelli e Simone Casini (Carocci 2016) è un'aurea "bussola" (pp. 126) articolata in tre sintetici capitoli sul tema.
L'etichetta "Linguistica educativa" (LE), diffusa a partire dal 2000 (T. De Mauro 2002, 2005, 2012, ecc.), è un calco sull'ingl. "Educational linguistics" risalente a B. Spolsky (1972) (p. 24). Che in italiano appare già nel 1973 nella "Rassegna Italiana di Linguistica Applicata" (RILA) diretta da Renzo Titone: "La linguistica educativa o linguistica applicata". La LE in italiano era stata comunque designata soprattutto da T. De Mauro (1971), nel solco della tradizione pedagogica italiana (Lombardo Radice 1913, don Milani 1967, M. Lodi, G. Rodari, B. Ciari, ecc.), come "Educazione linguistica".
Oggetto e materia della LE (cap. I) è costituito dall'apprendimento-insegnamento (e incremento) della lingua nazionale e della sua architettura nelle diverse varietà, agli italiani (dialettofoni e italofoni). Ma come apprendenti vanno inclusi anche gli stranieri in Italia (come L-2 o Lingua seconda), e gli italiani per le lingue straniere (L-2), prima oggetto della "Glottodidattica" o "Didattica delle lingue moderne". Senza peraltro dimenticare l'insegnamento, almeno a livello di comprensione, delle lingue classiche (latino e greco). Il tutto da prospettive teorico-pratiche pluridisciplinari, delle scienze del linguaggio.
Gli AA. ricordano opportunamente che il "linguaggio verbale" presenta gli "intrinseci tratti di vaghezza, di indeterminatezza e di apertura" o "creatività" (pp. 13, 97). E che la lingua, in quanto "sistema socialmente condiviso"è regolata dalla "norma", coserianamente intesa, "sul come si dice e non sul come si deve dire", ovvero "sul come si può dire meglio e più efficacemente" (pp. 57, 91-92).
Nel cap. II gli AA. caratterizzano lo sviluppo della Linguistica Educativa nel ventennio tra il 1975 ("Dieci Tesi per una educazione linguistica democratica" di T. De Mauro e del Giscel) e il 1996 (il QCER "Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue; apprendimento, insegnamento, valutazione" del Consiglio d'Europa).
Nel cap. III si soffermano su alcuni "temi caldi". Ovvero si affronta il tema del "vecchio plurilinguismo" dei dialettofoni-italofoni e il "neoplurilinguismo delle lingue immigrate" (oltre 5 milioni di immigrati, 9% circa degli italiani, p. 75). Si analizza poi il tema della "Programmazione" nella scuola italiana: dal "programma" (1963) alla "progammazione" (1979), al Glottokit (1983), alla "valutazione" nelle diverse forme del testing, della "certificazione linguistica", dell'"autovalutazione" (pp. 81-108).
"Una sfida" per la LE è costituita dal CLIL, ovvero "Content and Language Integrated Learning" (Commissione Europea Libro bianco del 1995; 2012, Commissione Maalouf 2008, Eurydice 2006). In soldoni, si tratta dell'uso veicolare della lingua straniera (solitamente l'inglese) nelle scuole superiori per insegnare le discipline curriculari (matematica, scienze, geografia o filosofia, ecc.). Gli Autori si mostrano al riguardo ottimisti. Ma le perplessità non sono invero poche. Ricorrere all'inglese al posto della lingua nazionale implica inevitabilmente un depotenziamento di quest'ultima, in quanto se ne riducono i domini d'uso alti, con conseguente impoverimento del lessico settoriale. In secondo luogo, chi dovrebbe insegnare in lingua straniera la matematica ecc.? Il docente italiano di matematica improvvisato anglofono?. Con dubbi sia sulla qualità del suo inglese (lingua straniera) che sull'efficacia della disciplina insegnata. Oppure bisognerebbe ingaggiare solo "native speakers of the target language" (p. 107), con competenze di glottodidattica! Sembrerebbe invece più ragionevole potenziare nella scuola (e poi all'università) l'insegnamento dell'inglese (in inglese) da parte dei docenti specialisti di lingua-2 (italiani e nativofoni inglesi)non solo nel settore della letteratura, ma in quello più ampio della "cultura" del paese straniero.
Sull'analoga presenza esclusiva dell'inglese veicolare nei corsi magistrali e nei dottorati dell'Università Italiana si è peraltro opportunamente dichiarata la Corte Costituzionale (sentenza n. 42 del 21.II), ponendo precisi paletti.
Punctum dolens è costituito altresì dalla "neoemigrazione italiana verso l'estero", dal 2013 giunta a oltre 94mila espatriati (p. 109), peraltro scolarizzati, spesso diplomati e parlanti una L-2 ("straniero-foni"), con complessi problemi di adattamento e integrazione linguistico-sociale secondo i diversi paesi di accoglienza (Europa settentrionale, Inghilterra, Germania, o Spagna, Canada, Argentina, ecc.), non esclusi quelli del rientro in Italia, ecc.
Per una rassegna sulla produzione nell'ambito della "Linguistica educativa" il lettore potrà rifarsi utilmente al bilancio della Società linguistica italiana La linguistica italiana all'alba del terzo millennio (1997-2010) (Bulzoni 2013), ricco di ben 5 capp. (pp. 149-368) a più mani: A. Giacalone Ramat - M. Chini - C. Andorno ("Italiano come L-2"), S. Ferreri ("Educazione linguistica: L1"), P. Polselli ("Educazione linguistica: L2"), S. Dal Negro - A. Marra ("Minoranze territoriali e politiche linguistiche") e di A. Vietti ("Minoranze non territoriali").
* Docente di linguistica generale presso l'Università di Catania
Autore tra l'altro di
--Per una grammatica ‘laica’. Esercizi di analisi linguistica: dalla parte del parlante (Utet 2010);
-- Scrivere per gli italiani nell'Italia post-unitaria (Cesati 2013);
--Dove va il congiuntivo? (Utet 2013);
-- Il linguaggio di Papa Francesco. Analisi, creatività e norme grammaticali (Libreria Editrice Vaticana 2016)