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Sgroi - Occhio alla grammatica profonda del ministro! (2). (Ancora sulla frase "fatale" del Ministro della P.I)

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di Salvatore Claudio Sgroi *


1. La frase "fatale" in bocca al Ministro



La frase del ministro Valeria Fedeli, a capo del MIUR, pronunciata il 20 dicembre 2017 ‒ «[...] perché offrano percorsi e assistenza SEMPRE [enfatizzato] || più migliori a studenti e studentesse»‒, ha attirato l'attenzione dei lettori e sollecitato risposte da più parti sia di giornalisti (per. es. Adriano Sofri sul Foglio del 21 dicembre 2017), sia di studiosi-universitari (Stefano Bartezzaghi 22 dicembre su Twitter in risposta a Mattia Feltri, giornalista ed ex docente di semiotica, e in HUFFPOST; Massimo Arcangeli nel FattoQuotidiano.it / BLOG di Giocabolariodel 27 dicembre;Francesco Sabatini a Uno mattina in famiglia 31 dicembre) e ora da ultimo la risposta di Paolo d'Achille al servizio di consulenza della Crusca del 5 gennaio 2018.

Il problema sollevato dalla frase è duplice: da una parte riguarda l'analisi linguistica al livello morfosintattico e di pronuncia (comparativo di maggioranza, di stampo popolare?), dall'altra il giudizio normativo (frase corretta o no?).

Quanto al giudizio di correttezza, sia Sofri che Bartezzaghi hanno dichiarato che «non è un errore», non così invece M. Arcangeli («uno svarione»; «Ammetta [la ministra] il suo errore, non le costa niente») né Francesco Sabatini (solo "una svista").

Dopo la nostra analisi Occhio alla grammatica profonda del Ministro, del 24 dicembre 2017, ritorniamo sul tema per analizzare la risposta della Crusca («Cerchiamo di essere sempre più... obiettivi!») del 5 gennaio, con analisi grammaticale e giudizio diversi dal nostro (poco importa), ma che ci sembrano invero contraddittori nelle argomentazioni e dell'analisi e del giudizio.


 2. Un comparativo analitico erroneo

Per la Crusca si tratta innanzi tutto di «errore [...] innegabile», ovvero di «improprietà linguistica  [...] innegabile», di «inaccettabilità del costrutto», di «costrutto [...] erroneo», meritevole di «censura grammaticale», dinanzi al quale ‒ conclude drammaticamente D'Achille ‒ è «soprattutto la scuola che, in circostanze del genere, si sente ferita».



2.1. «Più migliore» non rientrerebbe nell'«italiano popolare e dei testi semicolti»

Tale errore tuttavia ‒ a giudizio dello stesso D'Achille ‒ «non va però inserito nella tipologia dei comparativi organici preceduti da piùpropria dell’italiano popolare e dei testi semicolti». Questa classificazione è decisamente insolita. Trattandosi, come pure si sostiene, di «comparativ[o] organic[o] precedut[o] da più», si tratta indubbiamente di un uso tipico dell'italiano popolare. E ciò col conforto anche della rinomata Enciclopedia dell'italiano della Treccani 2011 dove il «più migliore»è correttamente citato tra gli ess. della morfologia dell'«Italiano popolare» (p. 725). E quindi si può giustificare ‒ non per D'Achille però ‒ che si sia «grida[to] allo scandalo», trattandosi di una frase in bocca al Ministro della P.I.


2.2. Documentazione «saltuaria», «marginale», «non letteraria»

In realtà, il «SEMPRE // più migliori» del Ministro (si noti la presenza del «sempre») non è un comparativo pacificamente popolareggiante. Un dubbio dev'essere venuto allo stesso D'Achille stando alla esemplificazione sette-otto-novecentesca ‒ 5 esempi ‒, da lui meritoriamente fornita, ma svalutata («documentata saltuariamente e marginalmente, in testi di scarso impegno qualitativo»), e anche perché «assente dalla tradizione letteraria alla base della norma». Per D'Achille la frase del Ministro sarebbe alla fine il risultato di un «incompleto intervento correttorio su un testo precedente». Sinceramente, non saprei dire quale percorso ideativo abbia seguito chi ha scritto la "vituperata" frase. Alla fine, c'è un risultato finale che va analizzato così com'è, e valutato.


2.3. Il "Sempre più[,] migliori" esempio corretto solo perché non è un comparativo popolare

Per D'Achille «non bisogna neppure arrampicarsi sugli specchi per considerare la frase corretta a tutti i costi (come hanno fatto altri)». Chi ha giudicato corretta la frase (gli autori su menzionati e io nell'intervento del 24 dic.), lo ha fatto perché non l'ha analizzata come es. di comp. di maggioranza.


3. Analisi sintattica delle due possibili letture

Provo ora a sintetizzare il percorso seguito nella mia analisi linguistica.


3.1. Lettura del Ministro

Questa la frase scritta del Ministro:

(1) «[...] perché offrano percorsi e assistenza sempre più migliori a studenti e studentesse»,

che è stata letta (sentendola in bocca al Ministro) con il «SEMPRE»enfatizzato, focalizzato e raggruppando «più migliori», con una pausa di stacco da «sempre», ovvero:

(1.a) «[...] perché offrano percorsi e assistenza SEMPRE // più migliori / a studenti e studentesse»,

creando così un comparativo di maggioranza analitico (sintagma aggettivale «più migliori») di tipo popolare, e quindi normativamente errato.

Nella frase (1.a) il «più» si riferisce a «migliori»rafforzandone con ridondanza il significato, dipende da «migliori»(che è "la testa"), con cui forma, come detto, un "sintagma aggettivale" («più Migliori» tipico dell'italiano popolare).



3.2. Lettura alternativa della frase del Ministro

Ma la stessa frase (1) poteva essere lettera con diversa pausa(zione), inequivoca se ci fossero state due virgole, ovvero:

(1.b) «[...] perché offrano percorsi e assistenza, /sempre più/, migliori a studenti e studentesse»,

creando così un "sintagma avverbiale" («sempre più»), per nulla popolare, e quindi normativamente corretto.

Nella frase (1.b) il «più» si riferisce a «sempre», rafforzandolo semanticamente, dipende da «sempre» (che è "la testa"), con cui forma, come detto, un "sintagma avverbiale" («Sempre più») per nulla popolareggiante.

E a questo punto non è neppure necessario riferire il sintagma avverbiale «sempre più» al verbo reggente («offrano»): (1.c) «[...] perché offrano sempre più percorsi e assistenza migliori a studenti e studentesse», come pure io avevo suggerito.



3.3. La variante "Sempre di più migliori"

L'analisi di cui sopra risulta ancora più chiara se al posto dell'avv. «più», si inserisce il gruppo "Di più" (sintagma preposizionale):

(2) "[...] perché offrano percorsi e assistenza sempre di più / migliori a studenti e studentesse”.

A questo punto, l'ombra o la minaccia dell'italiano popolare scompare del tutto. Il gruppo "Sempre di più" forma un sintagma avverbiale con "sempre" che ne è la "testa" che regge "di più" (sintagma preposizionale). Il "Sempre di più" dipende a sua volta da "percorsi e assistenza" (che formano un Sintagma nominale).


D'Achille cita peraltro un es. a fagiolo del 1784 ried. 1816 con "di più", sottovalutato:

«sarò in istato di darle sempre di piùmigliori nuove».



4. Analisi prosodica del segmento /sempre più migliori/

A questo punto, rispetto alla nostra precedente analisi, possiamo analizzare più attentamente la frase
incriminata, sotto il profilo prosodico. Il ritmo dell'italiano, determinato dall'alternanza di sillabe atone e sillabe toniche, è prevalentemente di tipo piano, cioè con "piedi" bisillabi (es. bène), a volte sdrucciolo con piedi cioè trisillabi (es. fàcile).


4.1. Lettura piana con tre "piedi"

Nel leggere la sequenza «sèmpre più migliòri»il Ministro ha seguito (inconsciamente) la Regola fonologica del ritmo "piano", ovvero, con tre "piedi" bisillabi piani: 1) /1SÈMPRE//,  /2ppiù-mmi/3gliòri/,

collegando quindi "più" a "migliori", con raddoppiamento fonosintattico. Ma tale combinazione ("più migliori") sul piano morfologico rientra nell'italiano popolare, ed è normativamente errata. La "Regola prosodica" ha così avuto il sopravvento sulla "Regola morfologica" dell'italiano canonico (comparativo organico sintetico "migliore" e non già comparativo analitico "più migliore").


4.2. Lettura "degenerata" con quattro "piedi"

Una diversa lettura che teneva conto della Regola morfologica canonica avrebbe dovuto staccare "più" da "migliori", e realizzarsi senza raddoppiamento fonosintattico come:


2) /1sèmpre/2ppiù//, /3mi/4gliòri/.


Ma in tal modo il ritmo prosodico sarebbe cambiato, non più di 3 piedi bisillabi, ma di 4 piedi, di cui due bisillabi, e due monosillabi "degenerati" (/2ppiù/ e /3mi-/.

Volendo mettere a confronto i due ritmi, con cesure diverse:

1) /1SÈMPRE//,/2ppiù-mmi/3gliòri/

2) /1sèmpre/ 2ppiù//, /3mi/4gliòri/.

La Regola morfologica ha quindi avuto la peggio rispetto alla Regola del ritmo piano nella realizzazione fonica del Ministro.


4.3. Enfasi fonologica (di «SEMPRE») e morfosintattica (di «più migliori»)

Va anche detto che il Ministro nella sua lettura piana (con 3 piedi) ha enfatizzato fonologicamente l'avv. SEMPRE staccato e morfo-sintatticamente (ma in italiano popolare) l'agg. «più migliori»:

1) /1SÈMPRE//,/2ppiù-mmi/3gliòri/.

La lettura "degenerata" (con 4 piedi) avrebbe invece comportato un'enfasi sintattica dell'avv. "sempre più" e non dell'agg. "migliori":

2) /1sèmpre/ 2ppiù//, /3mi/4gliòri/.



4.4. Lettura implicita del redattore con ritmo asimmetrico

È anche ragionevole ritenere che il testo nelle intenzioni di chi lo ha redatto, nell'insieme non certamente caratterizzabile come italiano popolare, sottintendeva la lettura con ritmo asimmetrico (con due piedi "degenerati") che avrebbe privilegiato la Regola morfologica del comparativo canonico.


4.5. Costrutto emendato ("sempre migliori")

D'altra parte la eliminazione (puristica?) del "più" con lettura "degenerata" (con 3 "piedi"):

3) /1SÈMPRE//,/2mi/3gliòri/, o anche con lettura simmetrica (in 2 "piedi" sdrucciolo e piano):

3.a) /1sèmpre /mi/2gliòri/,

avrebbe anche significato un depotenziamento del «sempre più» pur voluto dallo scrivente.


5. Visualizzazione dei rapporti di dipendenza

Possiamo infine visualizzare la diversità dei rapporti sintattici della frase secondo le due diverse pronunce e i due diversi ritmi, ricorrendo a delle "scatole":

Scatola n. 1 (grammatica canonica).

"Sintagma avverbiale [semprepiù] + compar. organico canonico [migliori]":





                              
                                                       migliori



sempre


più

rapporti




















Scatola n. 2 (grammatica popolare).

"Avverbio [sempre] + sintagma aggettivale popolare [più migliori]":





sempre



rapporti











6. Valutazione finale

Concludendo, il Ministro parlando ha realizzato con un ritmo simmetrico un comparativo popolare, errato normativamente, potenziando nel contempo fonologicamente il valore semantico del «SEMPRE», ma il testo scritto non era affatto di stampo popolare e mirava anzi a una implicita lettura con ritmo a-simmetrico ed enfasi dell'avv. «sempre più», normativamente corretta.


7. Sommario

La lettura dei titoli dei paragrafi in sequenza potrà alla fine fungere da 'riassunto' della "grammatica del parlato e dello scritto" relativamente a questo caso:


1. La frase "fatale" in bocca al Ministro

2. Un comparativo analitico erroneo

2.1. «Più migliore» non rientrerebbe nell'«italiano popolare e dei testi semicolti»

2.2. Documentazione «saltuaria», «marginale», «non letteraria»

2.3. Il "Sempre più[,] migliori" esempio corretto solo perché non è un comparativo popolare

3. Analisi sintattica delle due possibili letture


3.1. Lettura del Ministro

3.2. Lettura alternativa della frase del Ministro

3.3. La variante "Sempre di più migliori"

4. Analisi prosodica del segmento /sempre più migliori/


4.1. Lettura piana con tre "piedi"

4.2. Lettura "degenerata" con quattro "piedi"

4.3. Enfasi fonologica (di «SEMPRE») e morfosintattica (di «più migliori»)

4.4. Lettura implicita del redattore con ritmo asimmetrico

4.5. Costrutto emendato ("sempre migliori")

5. Visualizzazione dei rapporti di dipendenza

6. Valutazione finale


* Docente di linguistica generale presso l'Università di Catania.



Tra i suoi ultimi libri Il linguaggio di papa Francesco (Libreria editrice Vaticana 2016), Maestri della linguistica otto-novecentesca (Edizioni dell’Orso 2017),  Maestri della linguistica italiana (Edizioni dell’Orso 2017).















Sgroi - Occhio alla grammatica profonda del Ministro. Atto secondo

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di Salvatore Claudio Sgroi *



1. La frase "fatale" in bocca al Ministro

La frase del ministro Valeria Fedeli, a capo del MIUR, pronunciata il 20 dicembre 2017 ‒ «[...] perché offrano percorsi e assistenza SEMPRE [enfatizzato] || più migliori a studenti e studentesse»‒, ha attirato l'attenzione dei lettori e sollecitato risposte da più parti sia di giornalisti (per. es. Adriano Sofri sul Foglio del 21 dicembre 2017), sia di studiosi-universitari (Stefano Bartezzaghi 22 dicembre su Twitter in risposta a Mattia Feltri, giornalista ed ex docente di semiotica, e in HUFFPOST; Massimo Arcangeli nel FattoQuotidiano.it / BLOG di Giocabolariodel 27 dicembre;Francesco Sabatini a Uno mattina in famiglia 31 dicembre) e ora da ultimo la risposta di Paolo d'Achille al servizio di consulenza dellaCrusca del 5 gennaio 2018. Il problema sollevato dalla frase è duplice: da una parte riguarda l'analisi linguistica al livello morfosintattico e di pronuncia (comparativo di maggioranza, di stampo popolare?), dall'altra il giudizio normativo (frase corretta o no?). Quanto al giudizio di correttezza, sia Sofri che Bartezzaghi hanno dichiarato che «non è un errore», non così invece M. Arcangeli («uno svarione»; «Ammetta [la ministra] il suo errore, non le costa niente») né Francesco Sabatini (solo "una svista"). Dopo la nostra analisi Occhio alla grammatica profonda del Ministro, del 24 dicembre 2017, ritorniamo sul tema per analizzare la risposta della Crusca («Cerchiamo di essere sempre più... obiettivi!») del 5 gennaio, con analisi grammaticale e giudizio diversi dal nostro (poco importa), ma che ci sembrano invero contraddittori nelle argomentazioni e dell'analisi e del giudizio.

2. Un comparativo analitico erroneo

Per la Crusca si tratta innanzi tutto di «errore [...] innegabile», ovvero di «improprietà linguistica  [...] innegabile», di «inaccettabilità del costrutto», di «costrutto [...] erroneo», meritevole di «censura grammaticale», dinanzi al quale ‒ conclude drammaticamente D'Achille ‒ è «soprattutto la scuola che, in circostanze del genere, si sente ferita».

2.1. «Più migliore» non rientrerebbe nell'«italiano popolare e dei testi semicolti»

Tale errore tuttavia ‒ a giudizio dello stesso D'Achille ‒ «non va però inserito nella tipologia dei comparativi organici preceduti da più propria dell’italiano popolare e dei testi semicolti». Questa classificazione è decisamente insolita. Trattandosi, come pure si sostiene, di «comparativ[o] organic[o] precedut[o] da più», si tratta indubbiamente di un uso tipico dell'italiano popolare. E ciò col conforto anche della rinomata Enciclopedia dell'italiano della Treccani 2011 dove il «più migliore»è correttamente citato tra gli ess. della morfologia dell'«Italiano popolare» (p. 725). E quindi si può giustificare ‒ non per D'Achille però ‒ che si sia «grida[to] allo scandalo», trattandosi di una frase in bocca al Ministro della P.I.

2.2. Documentazione «saltuaria», «marginale», «non letteraria»

In realtà, il «SEMPRE // più migliori» del Ministro (si noti la presenza del «sempre») non è un comparativo pacificamente popolareggiante. Un dubbio dev'essere venuto allo stesso D'Achille stando alla esemplificazione sette-otto-novecentesca ‒ 5 esempi ‒, da lui meritoriamente fornita, ma svalutata («documentata saltuariamente e marginalmente, in testi di scarso impegno qualitativo»), e anche perché «assente dalla tradizione letteraria alla base della norma». Per D'Achille la frase del Ministro sarebbe alla fine il risultato di un «incompleto intervento correttorio su un testo precedente». Sinceramente, non saprei dire quale percorso ideativo abbia seguito chi ha scritto la "vituperata" frase. Alla fine, c'è un risultato finale che va analizzato così com'è, e valutato.

2.3. Il "Sempre più[,] migliori" esempio corretto solo perché non è un comparativo popolare

Per D'Achille «non bisogna neppure arrampicarsi sugli specchi per considerare la frase corretta a tutti i costi (come hanno fatto altri)». Chi ha giudicato corretta la frase (gli autori su menzionati e io nell'intervento del 24 dic.), lo ha fatto perché non l'ha analizzata come es. di comp. di maggioranza.

3. Analisi sintattica delle due possibili letture

Provo ora a sintetizzare il percorso seguito nella mia analisi linguistica.

3.1. Lettura del Ministro

Questa la frase scritta del Ministro: (1) «[...] perché offrano percorsi e assistenza sempre più migliori a studenti e studentesse», che è stata letta (sentendola in bocca al Ministro) con il «SEMPRE» enfatizzato, focalizzato e raggruppando «più migliori», con una pausa di stacco da «sempre», ovvero: (1.a) «[...] perché offrano percorsi e assistenza SEMPRE // più migliori / a studenti e studentesse», creando così un comparativo di maggioranza analitico (sintagma aggettivale «più migliori») di tipo popolare, e quindi normativamente errato. Nella frase (1.a) il «più» si riferisce a «migliori» rafforzandone con ridondanza il significato, dipende da «migliori» (che è "la testa"), con cui forma, come detto, un "sintagma aggettivale" («più Migliori» tipico dell'italiano popolare).

3.2. Lettura alternativa della frase del Ministro

Ma la stessa frase (1) poteva essere lettera con diversa pausa(zione), inequivoca se ci fossero state due virgole, ovvero: (1.b) «[...] perché offrano percorsi e assistenza, /sempre più/, migliori a studenti e studentesse»,creando così un "sintagma avverbiale" («sempre più»), per nulla popolare, e quindi normativamente corretto. Nella frase (1.b) il «più» si riferisce a «sempre», rafforzandolo semanticamente, dipende da «sempre» (che è "la testa"), con cui forma, come detto, un "sintagma avverbiale" («Sempre più») per nulla popolareggiante. E a questo punto non è neppure necessario riferire il sintagma avverbiale «sempre più» al verbo reggente («offrano»): (1.c) «[...] perché offrano sempre più percorsi e assistenza migliori a studenti e studentesse», come pure io avevo suggerito.

3.3. La variante "Sempre di più migliori"

L'analisi di cui sopra risulta ancora più chiara se al posto dell'avv. «più», si inserisce il gruppo "Di più" (sintagma preposizionale): (2) "[...] perché offrano percorsi e assistenza sempre di più / migliori a studenti e studentesse”. A questo punto, l'ombra o la minaccia dell'italiano popolare scompare del tutto. Il gruppo "Sempre di più" forma un sintagma avverbiale con "sempre" che ne è la "testa" che regge "di più" (sintagma preposizionale). Il "Sempre di più" dipende a sua volta da "percorsi e assistenza" (che formano un Sintagma nominale). D'Achille cita peraltro un es. a fagiolo del 1784 ried. 1816 con "di più", sottovalutato: «sarò in istato di darle sempre di piùmigliori nuove».

4. Analisi prosodica del segmento /sempre più migliori/

A questo punto, rispetto alla nostra precedente analisi, possiamo analizzare più attentamente la frase

incriminata, sotto il profilo prosodico. Il ritmo dell'italiano, determinato dall'alternanza di sillabe atone e sillabe toniche, è prevalentemente di tipo piano, cioè con "piedi" bisillabi (es. bène), a volte sdrucciolo con piedi cioè trisillabi (es. fàcile).

4.1. Lettura piana con tre "piedi"

Nel leggere la sequenza «sèmpre più migliòri» il Ministro ha seguito (inconsciamente) la Regola fonologica del ritmo "piano", ovvero, con tre "piedi" bisillabi piani: 1) /1SÈMPRE//,  /2ppiù-mmi/3gliòri/,

collegando quindi "più" a "migliori", con raddoppiamento fonosintattico. Ma tale combinazione ("più migliori") sul piano morfologico rientra nell'italiano popolare, ed è normativamente errata. La "Regola prosodica" ha così avuto il sopravvento sulla "Regola morfologica" dell'italiano canonico (comparativo organico sintetico "migliore" e non già comparativo analitico "più migliore").

4.2. Lettura "degenerata" con quattro "piedi"

Una diversa lettura che teneva conto della Regola morfologica canonica avrebbe dovuto staccare "più" da "migliori", e realizzarsi senza raddoppiamento fonosintattico come: 2) /1sèmpre/2ppiù//, /3mi/4gliòri/. Ma in tal modo il ritmo prosodico sarebbe cambiato, non più di 3 piedi bisillabi, ma di 4 piedi, di cui due bisillabi, e due monosillabi "degenerati" (/2ppiù/ e /3mi-/. Volendo mettere a confronto i due ritmi, con cesure diverse: 1) /1SÈMPRE//,/2ppiù-mmi/3gliòri/ --  2) /1sèmpre/ 2ppiù//, /3mi/4gliòri/. La Regola morfologica ha quindi avuto la peggio rispetto alla Regola del ritmo piano nella realizzazione fonica del Ministro.

4.3. Enfasi fonologica (di «SEMPRE») e morfosintattica (di «più migliori»)

Va anche detto che il Ministro nella sua lettura piana (con 3 piedi) ha enfatizzato fonologicamente l'avv. SEMPRE staccato e morfo-sintatticamente (ma in italiano popolare) l'agg. «più migliori»: 1) /1SÈMPRE//,/2ppiù-mmi/3gliòri/. La lettura "degenerata" (con 4 piedi) avrebbe invece comportato un'enfasi sintattica dell'avv. "sempre più" e non dell'agg. "migliori": 2) /1sèmpre/ 2ppiù//, /3mi/4gliòri/.



4.4. Lettura implicita del redattore con ritmo asimmetrico

È anche ragionevole ritenere che il testo nelle intenzioni di chi lo ha redatto, nell'insieme non certamente caratterizzabile come italiano popolare, sottintendeva la lettura con ritmo asimmetrico (con due piedi "degenerati") che avrebbe privilegiato la Regola morfologica del comparativo canonico.

4.5. Costrutto emendato ("sempre migliori")

D'altra parte la eliminazione (puristica?) del "più" con lettura "degenerata" (con 3 "piedi"): 3) /1SÈMPRE//,/2mi/3gliòri/, o anche con lettura simmetrica (in 2 "piedi" sdrucciolo e piano): 3.a) /1sèmpre /mi/2gliòri/, avrebbe anche significato un depotenziamento del «sempre più» pur voluto dallo scrivente.



5. Visualizzazione dei rapporti di dipendenza

Possiamo infine visualizzare la diversità dei rapporti sintattici della frase secondo le due diverse pronunce e i due diversi ritmi, ricorrendo a delle "scatole".

Scatola n. 1 (grammatica canonica): "Sintagma avverbiale [semprepiù] + compar. organico canonico [migliori]":





Scatola n. 2 (grammatica popolare): "Avverbio [sempre] + sintagma aggettivale popolare [più migliori]":





6. Valutazione finale

Concludendo, il Ministro parlando ha realizzato con un ritmo simmetrico un comparativo popolare, errato normativamente, potenziando nel contempo fonologicamente il valore semantico del «SEMPRE», ma il testo scritto non era affatto di stampo popolare e mirava anzi a una implicita lettura con ritmo a-simmetrico ed enfasi dell'avv. «sempre più», normativamente corretta.

7. Sommario

La lettura dei titoli dei paragrafi in sequenza potrà alla fine fungere da 'riassunto' della "grammatica del parlato e dello scritto" relativamente a questo caso:

1. La frase "fatale" in bocca al Ministro

2. Un comparativo analitico erroneo

2.1. «Più migliore» non rientrerebbe nell'«italiano popolare e dei testi semicolti»

2.2. Documentazione «saltuaria», «marginale», «non letteraria»

2.3. Il "Sempre più[,] migliori" esempio corretto solo perché non è un comparativo popolare

3. Analisi sintattica delle due possibili letture

3.1. Lettura del Ministro

3.2. Lettura alternativa della frase del Ministro

3.3. La variante "Sempre di piùmigliori"

4. Analisi prosodica del segmento /sempre più migliori/

4.1. Lettura piana con tre "piedi"

4.2. Lettura "degenerata" con quattro "piedi"

4.3. Enfasi fonologica (di «SEMPRE») e morfosintattica (di «più migliori»)

4.4. Lettura implicita del redattore con ritmo asimmetrico

4.5. Costrutto emendato ("sempre migliori")

5. Visualizzazione dei rapporti di dipendenza

6. Valutazione finale


* Docente di linguistica generale presso l'Università di Catania.

Tra i suoi ultimi libriIl linguaggio di papa Francesco(Libreria editrice Vaticana 2016), Maestri della linguistica otto-novecentesca (Edizioni dell’Orso 2017), Maestri della linguistica italiana (Edizioni dell’Orso 2017).




Sí, forse stiamo esagerando...

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ARABIA SAUDITA


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Sí, ci rendiamo perfettamente conto che forse stiamo esagerando nel condannare la "lingua" degli operatori dell'informazione, ma il titolo su citato, di un quotidiano in rete, "puzza" di anfibologia. Sembra che l'hotel sia diventato di lusso "per corruzione ". A nostro modo di vedere, per non creare ambiguità e incertezza (anfibologia o anfibolia), il titolo "corretto" avrebbe dovuto recitare: «[...]al-Waleed: da tre mesi ai domiciliari per corruzione in un hotel di lusso».  A proposito di anfibologia rimandiamo a un nostro vecchio intervento.

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La parola proposta da questo portale e non a lemma nei vocabolari dell'uso: amniomanzia.

I «mangiapani»

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Sí, siamo sicuri, saremo colpiti dagli strali di qualche linguista se, per caso, si imbatterà in questo sito. Stiamo per fare una proposta "oscena" sotto il profilo linguistico; proposta che - naturalmente - sarà avversata dai glottologi. Perché "oscena"? Perché vogliamo pluralizzare il sostantivo "mangiapane" quando tutti i vocabolari lo ritengono invariabile. A nostro avviso, questo sostantivo deve seguire la regola del plurale dei nomi composti che, se formati con una voce verbale e un sostantivo maschile singolare, restano invariati solo se si riferiscono a un femminile come, per esempio, ficcanaso: il ficcanaso / i ficcanasi; laficcanaso / le ficcanaso. Mangiapane non è composto - come ficcanaso - di una voce verbale (mangia) e di un sostantivo maschile singolare (pane)? Perché, dunque, deve rimanere invariato? Diremo: Carlo è unmangiapane; Giulio e Luigi sono deimangiapani; Lucia è una mangiapane; Rossana e Stefania sono dellemangiapane. Una ricerca in rete sul plurale di mangiapane ha dato 15.100 occorrenze per "i mangiapane" (invariabile) e 13.200 per "i mangiapani" (variabile). La differenza  è esigua. Quindi... Si veda qui e qui.

I «due» Gabrielli

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Ancora una volta dobbiamo constatare che il vocabolario di Aldo Gabrielli in rete  (‘ritoccato’) e il “Dizionario Linguistico Moderno” dello stesso autore “fanno a pugni”: non concordano sull’uso corretto del verbo ‘reclamare’. Per il dizionario in rete cliccate su reclamare. Vediamo, ora, ciò che scrive nel suo “Dizionario Linguistico Moderno”.

(Reclamare) In buona lingua italiana è soltanto intransitivo, e vale protestare, lagnarsi, dolersi e simili (...). Si costruisce con “a”, “contro”, “presso”, “in”: “Reclamate al governo”; “Reclamerò contro questa disposizione”; “Reclamiamo presso i superiori”; “Reclamate in direzione”; anche assoluto: “Prima obbedisci, e poi reclama”. Non è quindi corretto usarlo transitivamente, imitando il francese: “reclamare gli arretrati”; “reclamare il maltolto” e simili.; qui i verbi propri sono richiedere, domandare, rivendicare. Tuttavia, in questo senso, è già entrato nell’uso, e i dizionari già lo registrano. Da espellere dalla nostra lingua è invece nel significato, tutto francese, di esigere, richiedere, chiamare, volere: “Questa offesa reclama vendetta”*; “La terra arsa reclamava la pioggia”; i verbi sopra suggeriti sostituiranno benissimo l’improprio ‘reclamare’.

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* Questo esempio, “condannato” nel Dizionario Linguistico Moderno, è ritenuto corretto nel vocabolario in rete.


«Cosí e cosí» e«cosí cosí»

Si presti attenzione a queste due espressioni perché di primo acchito sembrano l’una sinonima dell’altra sí da potersi usare, quindi, indifferentemente. Cosí non è. Differiscono nel significato l’una dall’altra. La differenza radicale di significato la spiega, magistralmente, lo scrittore (forse poco conosciuto) Ardengo Soffici. “Ci sono degli scrittori i quali adoperano l’espressione: cosí e cosí, in luogo di quella: cosí cosí. La differenza formale tra l’una e l’altra è minima, ma quella tra i loro significati è immensa. Si dice di una cosa, di una persona, di un fatto che ci son parsi cosí cosí, per indicare che non ci son parsi né buoni né cattivi, né belli né brutti, né importanti né insignificanti, ecc. L’espressione cosí e cosí si adopera invece in tutt’altro caso; e particolarmente per indicare le varie cose che uno ha detto, o le quali si commette di dire a un altro, senza tornare a specificarle, o preparandosi a specificarle. ‘Gli dissi cosí e cosí, ed egli mi rispose cosí e cosí’. ‘Vai a dirgli cosí e cosí: che io non posso andar da lui, che lui venga da me e porti con sé quella roba’ ”.

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La parola proposta da questo portale:  grèbano. Si dice di persona rozza e ignorante, terra terra. Il vocabolo non è attestato nei vocabolari dell'uso e non è schiettamente italiano. Proviene dallo slavo "greben", sasso, rupe e indica un luogo impervio. Per estensione si è dato questo nome a chi abita questi luoghi inospitali, fuori del mondo "civile"; di conseguenza non avendo "contatti  umani" si comporta in modo rozzo.

Grammatica: i "quiz" della Crusca

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Mettete alla prova la vostra conoscenza grammaticale con i nuovi "quiz" redatti dall'Accademia della Crusca.

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"Razza" e "razzismo", un interessante articolo di Paolo D'Achille (Crusca).

"Il" rompighiaccio o "la" rompighiaccio?

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I vocabolari si "accapigliano" nello stabilire il genere e la variabilità di "rompighiaccio". Maschile o femminile? si pluralizza o no? I vocabolari che abbiamo consultato - come dicevamo - divergono. Per il De Mauro è maschile e femminile e invariabile; per il Devoto-Oli è maschile e invariabile; il Gabrielli lo attesta variabile e maschile; il Garzanti lo ritiene maschile e invariabile, sulla stessa linea il Palazzi; per il Treccani e il Sabatini Coletti è maschile e femminile e invariabile; per lo Zingarelli e il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, è invariabile e maschile. Come regolarsi? Noi faremmo un distinguo. Il sostantivo in oggetto è maschile e variabile quando indica l'arnese per rompere il ghiaccio: ho smarrito il rompighiaccio; al mercato ho acquistato due rompighiacci. Sarà femminile e invariabile allorché designa la nave atta a navigare nei mari, nei laghi e nei fiumi per rompere il ghiaccio: una (nave)rompighiaccio; due (navi)rompighiaccio.

Tre aggettivi «abusati»

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Molto spesso si fa un abuso degli  aggettivi buono, forte e grande perché innumerevoli sono le persone o le cose per le quali viene spontaneo adoperarli: ma il concetto che tali aggettivi esprimono è troppo vago e generico. Consigliamo agli amatori della lingua, per tanto, di sostituirli, ogni qual volta che sia possibile, con un termine piú appropriato. Vediamo qualche esempio di “abusi”, piluccando qua e là: in corsivo l’aggettivo “abusato” e in parentesi quello piú appropriato. La grande (vasta) piazza era piena di dimostranti; una volta tanto sii buono (ubbidiente) e fa quello che ti chiede tuo padre; sapendo che siete tanto buoni (generosi, cortesi) ne approfitto per chiedervi un favore; in quel momento soffiava un vento forte (impetuoso), che faceva tremare le case; quel giovanotto, invece di scusarsi, ha peggiorato la situazione commettendo un grande(grave) errore; quella torta, a fine pranzo, era veramente buona (squisita); l’oratore ha arringato la folla con voce forte (tonante), tra applausi scroscianti; il fumo che usciva dall’appartamento in fiamme era forte (acre) e disgustoso; bisogna essere grati a questi forti(valorosi) soldati che vanno in giro per il mondo a portare la pace; se ti comporti bene, Dio, che è sommamente buono(misericordioso), ti perdonerà; il barbone, per una notte, ha trovato accoglienza, in paese, presso una famiglia che è tanto buona (caritatevole); le ricerche sono state rinviate perché scrosciava una forte (violenta, impetuosa, dirotta) pioggia.

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La parola proposta da questo portale, tratta da "Doctissimo.it": assazione. Sostantivo femminile con il quale si indica la cottura dei cibi nel loro sugo, senza aggiunta di altri liquidi.

"Spigolando" qua e là...

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DUE PAROLE, due, sul pronome (riflessivo)  perché non sempre è adoperato correttamente. Innanzi tutto si scrive sempre con l’accento, anche quando è seguito da stesso o da medesimo e si riferisce solo al soggetto (sia singolare sia plurale) della proposizione. Quando non è riferibile al soggetto va sostituito con luileiloro, secondo i casi; diremo o scriveremo, quindi, che “il bambino già si veste da ” e che “la mamma ha voluto che i figlioli andassero con lei”. Quando il soggetto è plurale, secondo alcune grammatiche, il “sé” può essere sostituito con “loro”; lo deve essere sempre, invece, quando si vuole indicare un’azione reciproca. Sono errate, per tanto, alcune frasi che abbiamo estrapolato dalla stampa: “Il cantante, attesissimo, non sapeva che tutti parlavano di sé”; “Il mondo andrebbe meglio se gli uomini si amassero e parlassero di piú tra sé”.



SPESSE VOLTE, probabilmente senza rendercene conto, infarciamo i nostri scritti di preposizioni che, “in realtà”, sono superflue se non addirittura errate. Sarebbe bene, per tanto, rileggere con la massima attenzione le nostre “opere letterarie” prima di darle, si fa per dire, alle stampe. Qualche esempio renderà il tutto piú chiaro. Vediamo, quindi, piluccando qua e là, di “scovare” queste preposizioni mettendole in corsivo. I coniugi, nonostante la stanchezza per il lungo viaggio, alla (la) mattina seguente si alzarono prestissimo; in riguardo a lui, tutti sarebbero stati d’accordo che comportandosi in quel modo sarebbe stata un’ingiustizia; è veramente difficile a descrivere quel che è successo l’altro giorno; l’assemblea, per acclamazione, ha eletto a presidente della Società il rag. Sempronio; è stato notato, da tutti, che per tutto il tempo della conferenza Giovanni e Virgilio bisbigliavano fra di loro; a questo punto gentili amici, non mi resta altro che di salutarvi caramente; state tranquilli, verremo a trovarvi dopo di cena; nessuno osava di entrare in quella stanza; in quell’anno tutti gli imputati erano minorenni.





LA CONGIUNZIONE“e”, lo dice la stessa parola, per lo piú ha valore ‘congiuntivo’ e ‘aggiuntivo’: noi e voi. Ma ha anche un altro “valore” poco conosciuto: avversativo: l’oratore ha parlato per tre ore, e non ha detto nulla. È un pleonasmo “obbligatorio” quando forma locuzioni interponendosi fra ‘tutti’ e un aggettivo numerale cardinale (tutt’e cinque) o fra un participio passato e l’aggettivo bello: bell’e detto. È un pleonasmo inutile, invece, collocare la “e” fra due numerali: cento e sette. Molto meglio: centosette. Unita a un avverbio richiede il cosí detto raddoppiamento sintattico: eccome, eppure, ebbene, epperciò ecc.



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La parola proposta da questo portale: ottilustre. Aggettivo, non attestato in tutti (?) i vocabolari dell'uso, sinonimo di quarantenne. Alla lettera: che ha otto lustri. È una bella donna ottilustre. Perché un periodo di cinque anni (quinquennio) si chiama "lustro"? Lo apprendiamo dal dizionario etimologico di Ottorino Pianigiani anche se - lo abbiamo scritto altre volte - non è ritenuto fededegno da numerosi linguisti. In proposito stupisce il constatare che il Tommaseo-Bellini non fa menzione alcuna di lustro nel significato di cinque anni. Si veda anche qui.


Un titolo "scioccante"

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Noi, invece, siamo rimasti scioccati leggendo il titolo di questo giornale in rete. Cercasi? No, cercansi (o si cercano), questa la forma corretta in buona lingua italiana. Si tratta di un "si passivante" (non di un "si impersonale"): le commesse "sono/vengono" cercate.  Per quanto attiene a "shock" o "choc", se lo italianizzassimo in "scioc", come il verbo "scioccare"?

Pronome relativo: congiuntivo e misto

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La maggior parte delle persone – siamo sicuri – non hanno, o se preferite ha, mai sentito parlare del “pronome congiuntivo” e del “pronome misto” perché questi termini non sono trattati da buona parte dei sacri testi grammaticali. Eppure vengono adoperati da tutti, sia pure inconsciamente. Bene. Vengono chiamati cosí dai linguisti i pronomi relativi “che” e “chi”. Il primo perché può ‘congiungere’ due proposizioni: mi sembra di sentire ancora le parole di mio padre, ‘che’ mi ha sempre detto di comportarmi onestamente. Il secondo, cioè “chi”, è definito misto perché unisce in sé la funzione di due diversi pronomi: dimostrativo (quello, colui; quella, colei) e relativo (il quale, la quale). Occorre dire, a questo proposito, che il secondo svolge sempre le funzioni di soggetto; il primo oltre che soggetto può essere sia complemento oggetto sia complemento indiretto: chi va in acqua si bagna [colui (soggetto) il quale (soggetto) va in acqua si bagna]; faremo di tutto per cercare di trovare chi può aiutarti [faremo di tutto per cercare di trovare colui (complemento oggetto) il quale (soggetto) può aiutarti]; questo libro è di chi lo vuole [questo libro è di colui (complemento indiretto) il quale (soggetto) lo vuole]. 




Una "idiozia linguistica"

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Grazie, grazie davvero! Questa "idiozia linguistica"è sulla bocca di buona parte dei cosí detti conduttori di trasmissioni  radiotelevisive. Alla fine della chiacchierata (o dell'intervista), all' atto di congedare l'ospite di turno non manca, da parte dell'ospitante, la classica frase: "Grazie, grazie davvero dott. Pomponio". La domanda - come diceva qualcuno - sorge spontanea: c'è anche un grazie "per ischerzo"? Quest'idiozia fa il paio con l'altra: alle prime luci dell'alba. L'alba non indica il "primo chiarore del giorno", vale a dire la prima luce del giorno? Correttamente, quindi: all'alba o alle prime luci del giorno.

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Secondo una  “regola fasulla” insegnataci a scuola l’articolo determinativo femminile plurale “le” non si può elidere: le erbe e non l’erbe. No, amici e amanti della lingua, questa regola “vale” solo per le parole che cominciano con una vocale diversa dalla “e”: le ombre(errato: l’ombre). È lo stesso caso, insomma, dell’articolo plurale maschile “gli” che si può apostrofare davanti ai nomi che cominciano con la “i”: gl’italiani. Scrivete pure, se vi piace, l’eliche e l’erbe nessuno, ben ferrato in lingua, potrà tacciarvi d’ignoranza linguistica. Fior di scrittori elidono l’articolo plurale “le”, naturalmente se la parola che segue comincia con una “e”.

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La parola proposta da questo portale: muzzo. Aggettivo. Si dice di sostanza alimentare che ha un sapore acidulo, agrodolce.

Partire per i monti della luna...

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 ... vale a dire intraprendere un viaggio molto lungo verso un luogo favoloso ma molto difficile da raggiungere. Il modo di dire – forse poco conosciuto – si rifà a una ipotetica catena di monti che gli antichi geografi avevano stabilito essere al centro dell’Africa, vicino all’Equatore e dalla quale ritenevano nascesse il fiume Nilo. La credenza popolare, inoltre, voleva che le sue viscere contenessero immense miniere d’oro e d’argento. C’è da dire, per la cronaca, che la convinzione che questi monti esistessero realmente perdurò fino alla metà del XIX secolo.



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Fra poche settimane i cittadini italiani saranno chiamati alle urne. Siamo, per tanto, in piena campagna elettorale. Non vogliamo, da questo portale, fare propaganda per questo o quel partito, non è nella nostra filosofia; vogliamo solo vedere, sotto il profilo prettamente linguistico, come è nata e che cosa è, esattamente, la  “campagna elettorale”. Vediamo, innanzi tutto, che cosa è la campagna in senso lato. È, come recitano i vocabolari, un’ampia distesa di terreno aperto e pianeggiante, coltivato o coltivabile, lontano dai grossi centri abitati. Il termine viene, come il solito, dal latino  “campania(m)”, tratto da  “campus” (campo), di origine non chiara. Bene. Ma cosa c’entra l’agricoltura con le elezioni, cioè con la campagna elettorale? si domanderanno i nostri amici blogghisti. È presto detto. Dal significato di campagna come  “terreno che può essere coltivato” nascono le espressioni  “campagna bacologia”, “campagna granifera”, dove con il termine campagna si intende il  “periodo in cui si svolge un’attività agricola”. Di qui, è intuitivo, la locuzione campagna elettorale, cioè  “periodo atto allo svolgimento della propaganda elettorale”. Infine, attraverso un’altra evoluzione semantica, sono state coniate le espressioni  “campagna di stampa”, “campagna abbonamenti”, “campagna per il tesseramento” e via dicendo dove con ‘campagna’ si intende, appunto,  “periodo atto a...”.



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Un cortese lettore di questo portale domanda, scandalizzato, se è corretta la frase letta in un giornale (che non cita): “Piero aveva i diti medi fratturati”. Diti? si chiede il lettore. Non si dice "dita"?  Sí, gentile amico, la frase è correttissima; questa volta diamo atto al giornalista, estensore dell’articolo, di aver usato la lingua di Dante in modo corretto. Il plurale di dito è: “dita” (femminile) se  si considerano nel complesso: le dita delle mani, del piede; “diti” (maschile) se considerati separatamente: i diti medi; i diti mignoli.
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È corretto apostrofare il pronome personale “ci” davanti al verbo avere? Molto spesso mi capita di leggere, sulla stampa, frasi tipo “c’hanno detto che...”. Insomma, ci hanno o c’hanno? ci domanda un cortese lettore di Fiuggi. Nessuna legge grammaticale vieta di apostrofare la particella pronominale  “ci” e l’omonimo avverbio di luogo davanti a parole che cominciano con le vocali  “e” e  “i”: c’entra, c'invitò. Alcuni linguisti ammettono l’apostrofo anche davanti ad altre vocali. Ci sembra un uso scorretto e da condannare. L’elisione è corretta solo se, come dicevamo, la parola che segue la particella comincia con una “e” o una “i” al fine di conservare alla consonante “c” il suono palatale. Davanti alle altre vocali la “c” acquisterebbe un suono gutturale: ci approvò e non c’approvò; ci andrei e non c’andrei, ché si leggerebbero rispettivamente “capprovò” e  “candrei”. Per lo stesso motivo bisogna scrivere ci hanno e non c’hanno in quanto si leggerebbe “canno”.

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La parola proposta da questo portale: porrigine. Sostantivo femminile, in medicina indica una qualunque affezione del cuoio capelluto.

Il regalo di S. Valentino

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In occasione della festa di San Valentino riproponiamo un nostro vecchio intervento, certi di far cosa gradita ai gentili lettori.

Oggi è San Valentino e la tradizione vuole che sia il protettore degli innamorati. Abbiamo pensato, per tanto, di fare un omaggio, un regalo ai giovani innamorati, innamorati, però, della... lingua, spiegando loro l’etimologia del  “regalo” in generale.

   Prima, però, per la gioia delle lettrici che ci onorano della loro attenzione, riportiamo un pensiero di Anita Loos sulle cose da regalare (alle innamorate): “Quando ti baciano la mano, questo può farti molto, molto piacere, ma un braccialetto di zaffíri o un diamante durano tutta la vita” (amanti e innamorati, siete avvertiti...).

   E veniamo al regalo. Anche in questo caso (come quasi sempre, del resto) dobbiamo chiamare in causa il padre della nostra lingua: il nobile latino. Per spiegarci, però, è necessario prendere il discorso un po’ alla lontana. Vediamo.

  I Latini, nostri progenitori, avevano un verbo,  “regere”, passato in italiano tale e quale se si eccettua l’aggiunta di una  “g”. Questo verbo aveva un’infinità di significati: governare, guidare, reggere, condurre, dirigere. Il sostantivo  “re”, infatti non è altro che un deverbale, vale a dire un nome derivato dal verbo in questione, precisamente è l’accusativo  “re(gem)”, tratto, per l’appunto, da  “regere”. Il re, quindi, è colui che “regge” le sorti di una Nazione, di uno Stato.

   Da  ‘re’ sono stati formati gli aggettivi  “regio” e  “regale”. Da quest’ultimo, attraverso la lingua dei nostri cugini spagnoli, ci sono giunti i termini  “regalo” e  “regalare”. Il regalo, propriamente, è un  “dono al re”, mentre lo spagnolo “regalar” – sempre propriamente – significa  “rendere omaggio al re”.

  Attraverso i secoli il ‘regalo’ ha perso il significato originario di  “dono al re” assumendo l’accezione generica di  “dono”, “omaggio”, “regalo” e simili; mentre il verbo ‘regalare’ il significato, sempre generico, di  “offerta che si ritiene utile e gradita”.

Il "sesso" di Trastevere

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Ancora due orrori, uno "veniale" (matita rossa) l'altro "mortale" (matita blu), rilevati su un quotidiano in rete.


Non li sveliamo, lasciamo ai lettori, amanti/amatori del bel parlare e del bello scrivere, il piacere di... scovarli e di riportarli nei commenti.

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Sebbene e sibbene - si presti attenzione a questi due termini perché non sono interscambiabili. Il primo è una congiunzione concessiva e richiede il verbo al congiuntivo:  sebbene fosse molto stanco accontentò il figliolo recandolo ai giardinetti. Il secondo (scritto anche in grafia analitica, sí bene) è una congiunzione avversativa, con il valore di "ma", "bensí" e si adopera dopo una proposizione negativa: non abbatterti, sibbene (sí bene) reagisci sempre contro le avversità.




Gli abitanti della Basilicata

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Una interessante disquisizione di Paolo D'Achille sugli abitanti della Lucania/Basilicata.

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La parola proposta da questo portale e non a lemma nei vocabolari dell'uso: barberare, vale a dire girare saltellando.

Come si chiamano le dita dei piedi?

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Su Wikipedia abbiamo “scoperto” che le dita (i diti, se considerati separatamente) dei piedi, come quelle della mano, hanno un nome: alluce, illice (o melluce), trillice, pondolo (o pondulo) e minolo (o mellino). Segnaliamo la “scoperta” per curiosità perché un esperto del settore, il prof. Paolo Ronconi, direttore del Centro di Chirurgia del Piede dello IUSM di Roma, sostiene che “Le dita del piede non vengono indicate come le dita della mano ma: Alluce, secondo, terzo, quarto, quinto”. Anche il  “Vocabolario Nomenclatore” di Palmiro Premoli  è dello stesso avviso del docente universitario: Alluce (o dito grosso), gli altri si indicano con il numero.



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La parola proposta da questo portale: cacatamente. Avverbio, dal "sapore" un po' volgare (di cui ci scusiamo), che vale "male e piano". Si veda anche qui e qui.

Colorato "da" o "di"?

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Da "domande e risposte"  del vocabolario Treccani in rete:

DOMANDA

La mia non è una domanda ma un'osservazione: al lettore che chiedeva delucidazioni circa l'ammissibilità della grafia "praivasi" si sarebbe potuto (e forse anche dovuto) ricordare che esiste il vocabolo "privatezza", lemmatizzato nei più autorevoli dizionari, in primis Treccani e Devoto-Oli.

RISPOSTA

Accettiamo con piacere l’osservazione, per quanto colorata da una sfumatura di rimprovero. In realtà, ci si è limitati a rispondere, ci sembra adeguatamente, al nucleo del quesito. Questa limitazione non ci sembra che pregiudichi o contraddica la lemmatizzazione di privatezza all’interno del vocabolario Treccani. Naturalmente, si potrebbe, ogni volta che entra in scena un anglismo, ragionare sulla sua maggiore o minore liceità, opportunità o gradevolezza (criterio, quest’ultimo, in realtà quanto mai soggettivo e fin troppo maneggevole). Ma ci sembra, anche sotto questo profilo, che l’impegno della Treccani non sia mai mancato. Cogliamo l’occasione per annunciare che, nei prossimi mesi, nella sezione Lingua italiana del portale Treccani.it, sarà in linea uno speciale dedicato ai forestierismi nella lingua italiana.

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Il verbo "colorare" - sia in senso proprio sia in senso figurato - si costruisce con la preposizione "di", non "da". E sembra che tutti i dizionari concordino. Lo stesso vocabolario Treccani in rete riporta gli esempi con la preposizione "di". La risposta corretta, quindi, avrebbe dovuto recitare: «[... per quanto colorata di una sfumatura di rimprovero. [...]». Come mai chi ha risposto al lettore non ha preso in considerazione quanto riporta - in proposito - il vocabolario Treccani?

Controverso=contestato? Non sempre

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I titolisti di questo giornale in rete ritengono, probabilmente, che controverso sia sinonimo di contestato. No, controverso e contestato non sono interscambiabili, per lo meno non in tutti i contesti, e hanno significati diversi. Il titolo in oggetto avrebbe dovuto recitare, correttamente: «[...] sul vescovo contestato». Vediamo le accezioni dei due termini dando la "parola" al vocabolario Treccani in rete: controversia e contestazione.

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La parola proposta da questo portale, non a lemma nei vocabolari dell'uso: gramolazzo. Si dice di persona magrissima, quasi scheletrica.

Non vale un...

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Una gentile lettriceche desidera mantenere l'anonimato, ci scrive da Pescara chiedendoci  «per quale ragione quando si vuole mettere in evidenza la stupidità di una persona o l'inconsistenza di una determina cosa si ricorre agli attributi maschili. «Non si dice, infatti - con volgarità - che ciò non vale un... e che quel tizio è un emerito testa di...?». Gentilissima signora, per quel che ne sappiamo, il motivo per cui si ricorre a queste espressioni triviali si perde nella notte dei tempi: da che mondo è mondo - chissà perché - nell'immaginario dell'uomo gli organi genitali (maschili e femminili) sono sempre stati associati al concetto di imbecillità e di nullità. Due parole - fra le tante, di uso comune e dal "sapore" un po' volgare - ce lo confermano: fesso e fregnone. La prima è voce partenopea, tratta da "fessa", l'organo genitale femminile; la seconda, con la variante "piú garbata" frescone, non è altro che l'accrescitivo del vocabolo dialettale romano  fregno, l'organo maschile.

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La parola proposta da questo portale: cadometria. Sostantivo femminile. Scienza che si occupa della misurazione dei vasi, delle botti ecc. «Quella parte della geometria pratica che si applica alla stazatura delle botti od altri vasi da vino, cioè alla misura della loro capacità o de liquidi imbottati, viene designata colla parola cadometria, composta delle voci greche «gooc, vaso per vino, e uérooy, misura. Il famoso Keplero, dice Baden Powell nella sua Storia della filosofia naturale, e per la circostanza accidentale di avere osservato gli errori di uno stazatore ignorante nel misurare alcune botti da vino, fu condotto a investigare ...». Si veda qui. 
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