La carta stampata, ma non solo, molto spesso, per nondire sempre, fa un uso-abuso di alcuni vocaboli perché li adopera impropriamente. Prendiamo, per esempio, l'aggettivo 'squallido', che etimologicamente significa "rozzo", "sudicio" essendo tratto dal verbo latino 'squalère' (essere ruvido, aspro). Quest'aggettivo, dunque, è bene impiegato solo in senso proprio: una casa squallida, vale a dire misera, rozza, arredata con mezzi di fortuna. Molto spesso, dicevamo, i giornali ne fanno un uso metaforico adoperandolo a ogni piè sospinto per considerazioni morali: il delitto è maturato nello 'squallido' ambiente della prostituzione; oppure: l'imputato ha svolto un ruolo di primo piano in quella 'squallida' vicenda. L'aggettivo in oggetto, è bene ribadirlo, si riferisce a tutto ciò "che si trova in uno stato di abbandono e miseria, tale da infondere tristezza". L'uso metaforico eccessivo ha reso quest'aggettivo... "squallido"; non sarebbe bene metterlo un po' a riposo e usare - per le considerazioni morali - i piú appropriati "sostituti" avvilente e deprimente? Diremo, quindi, un ambiente deprimente; una vicenda avvilente. Sappiamo benissimo di predicare al vento. Però... non si sa mai.
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