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Ancora sull'uso errato della preposizione "da"

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I lettori ci perdoneranno se insistiamo e se ci... ripetiamo, ma non possiamo non denunciare - ancora una volta - l'uso scorretto che la stampa fa della preposizione "da". Ci meravigliamo anche del fatto che la prestigiosa "Treccani" in rete, spesso e volentieri, per "convalidare" la correttezza di certi costrutti (ma non è il caso della preposizione "da") citi gli articoli dei giornali, come se questi - ahinoi! - fossero i depositari  della "verità linguistica". Il titolo corretto è, dunque, nozze di fiaba.



Riproponiamo anche un nostro vecchio intervento inerente all'argomento in oggetto.




Alcuni così detti scrittori di vaglia – non sappiamo se per puro “snobismo linguistico” o per scarsa conoscenza delle norme che regolano la nostra madre lingua – adoperano la preposizione ‘da’ in modo improprio, per non dire errato, confondendo le idee linguistiche ai giovani studenti che, attratti dal “nome” dello scrittore, prendono per oro colato tutto ciò che la grande stampa “propina” loro. Sarà bene vedere, quindi, sia pure per sommi capi, l’uso corretto della predetta preposizione affinché gli studenti non incorrano nelle ire dei loro insegnanti, se questi ultimi sono degni di tale nome (la nostra esperienza, purtroppo, ci rende scettici in proposito).
La preposizione “da”, dunque, è usata correttamente quando indica l’attitudine, l’idoneità, la destinazione: pianta ‘da’ frutto; camicia ‘da’ uomo; sala da tè; veste ‘da’ camera e simili. Alcuni scrittori, dicevamo, la adoperano in modo improprio, in luogo della preposizione “di”, quando si parla di una qualità specifica di una cosa e non di una destinazione, sia pure occasionale. In questi casi si deve usare esclusivamente la preposizione “di”, l’unica autorizzata “per legge grammaticale”. Si dirà, per tanto, festa ‘di’ ballo (non da ballo); biglietto ‘di’ visita (non da visita, anche se ormai l’uso errato prevale su quello corretto); uomo ‘di’ spettacolo; Messa ‘di’ Requiem. Durante le celebrazioni per il centenario della morte di Giuseppe Verdi, nel 2001, un grande giornale d’informazione titolò: “Grande successo per la ‘Messa da Requiem’”. Il giornale e il suo redattore titolista non presero a calci solo la lingua italiana, offesero soprattutto la memoria del grande musicista che ha composto, per l’appunto, la “Messa di Requiem”. Ancora. Leggiamo sempre, su tutti i giornali, frasi del tipo: “Il giocatore Sempronio ha ripreso il suo posto da titolare”. Nelle espressioni citate quel “da” è uno “snobismo linguistico” o un … “ignorantismo”? Decidete voi, gentili amici. Ma andiamo avanti. La preposizione “da” non può usurpare le funzioni della consorella “per” quando nella frase c’è un verbo di modo infinito atto a indicare l’uso, la destinazione della cosa di cui la stessa cosa è agente. Diremo, quindi, macchina “per” scrivere, non “da” scrivere (altrimenti sembra che la macchina debba “essere scritta”); matita “per” disegnare, non “da” disegnare e simili. La preposizione “da”, insomma, posta davanti a un verbo di modo infinito rende quest’ultimo di forma passiva .È adoperata correttamente, quindi, se seguita da un infinito nelle espressioni tipo “casa ‘da’ vendere” (che deve essere venduta); “grano ‘da’ macinare” (che deve essere macinato) e via discorrendo. Un’ultima annotazione: la preposizione ‘da’ non si apostrofa mai (per non confondersi con la sorella ‘di’) tranne in alcune locuzioni avverbiali: d’altronde; d’altro canto e simili.








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