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A proposito del «qual'è»

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 Alcuni amici lettori hanno ravvisato nel pregevole articolo del prof. Sgroi un apostrofo di troppo (qual'è). A tal proposito pubblichiamo un intervento dello stesso professore in cui spiega, con dovizia di particolari, il "non-errore"  dell'apostrofo.

NON È ERRORE, MA PRONUNCIA DELL’ITALIANO MODERNO
“Qual’è” (sic!) laicamente con apostrofo
 SALVATORE CLAUDIO SGROI *
Nel domenicale del “Sole 24 ore” del 17 febbraio, Giuseppe Antonelli, bravo storico della lingua nonché romanziere e brillante giornalista, ha ricordato che «qualche anno fa, a Roberto Saviano sfuggì - twittando - un apostrofo di troppo: “Qual’è il peso specifico della libertà di parola? ”». Capita, può capitare, specie quando si scrive rapidamente su una tastierina piccola come quella di un telefono. Ma Saviano non volle ammettere l’errore e, rispondendo alle critiche, scrisse «Ho deciso: -) continuerò a scrivere ‘qual’è’ con l’apostrofo come Pirandello, Landolfi”». «Non è così che funziona» è stato il giudizio netto (puristico) di Antonelli. Da cui però dissentiamo in toto, in nome di una “Grammatica laica”. Dando piena ragione a Saviano per la sua scelta. Per motivi diversi. In primo luogo non si tratta affatto di un “errore”. Poi si tratta anche di un uso “codificato”, cioè riconosciuto come corretto da grammatici, per di più puristi. Ancora. Lungi dall’essere un uso sgrammaticato, il “qual’è” è invece un uso dettato da una precisa regola grammaticale di grande vitalità. Per essere considerato un “uso errato”, il “qual’è” (con l’apostrofo) dovrebbe essere prerogativa delle scritture degli incolti. Ma non è affatto così. Saviano giustamente ricordava di trovarsi in compagnia con autori quali Pirandello e Landolfi. Ma la schiera di scriventi doc del ‘900 è facilmente arricchibile. Se si dà un’occhiata al “Primo tesoro della lingua letteraria italiana del Novecento”, nel Cd-Rom curato da Tullio De Mauro (Utet 2007), costituito da 100 testi del Premio Strega apparsi nel cinquantennio 1947-2003, si scopre la presenza di “qual’è/qual’era” in autori come G. Berto 1947, A. Palazzeschi 1948, C. Malaparte 1950, A. Moravia 1952, I. Calvino 1952, E. Morante 1957, M. Tobino 1962, G. Arpino 1964, G. Parise 1965. Si potrebbe continuare con altre banche dati. E si tratta anche di un uso “codificato”. Un esempio appare ne “La grammatica degl’Italiani” di Trabalza Allodoli (1934 e 1952), dove si trova scritto: “l’interpunzione, qual’è stata stabilita” (p. 332). Tale uso è poi difeso a spada tratta da un purista come Franco Fochi fin dal 1964. Nel suo delizioso “L’italiano facile” Fochi ritiene «giusta, aggiornata, legittima soltanto la grafia qual’è». Infine, la grafia “qual’è” (con l’apostrofo) si spiega in quanto elisione di “quale” dinanzi a vocale. Davanti a consonante nell’italiano d’oggi “quale” non va soggetto ad alcun troncamento. Si dice infatti «quale partito votare? » e non già «*qual partito votare? », «quale lavoro cercare? » e non già «*qual lavoro cercare», ecc. Il troncamento di “quale” dinanzi a consonante è un residuo dell’italiano antico, rimasto in espressioni fossilizzate, come “nel qual caso”, “una certa qual fretta”, “qual piuma al vento”. La grafia “qual’è” riflette quindi la pronuncia dell’italiano moderno, quella senza apostrofo rimane legata all’italiano del tempo che fu.
*Docente di linguistica italiana presso l'Università di Catania.
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L'unghio?

Gentile dott. Raso,  poco fa ho fatto il test sui dialetti italiani elaborato dall'Accademia della Crusca e pubblicato da Repubblica. Nella domanda 4 ho letto "unghio", la cosa mi ha stupito, perché ho sempre creduto che il termine corretto fosse " unghia " (plurale "unghie"). La questione mi incuriosisce molto, perché nella mia regione, la Sicilia, molti dicono "unghio" (plurale "unghia"), abitudine secondo me sbagliata. Mi devo ricredere? Grazie per una sua eventuale risposta e congratulazioni per il suo blog.
Cordiali saluti,
Francesca R.
(Località non specificata)
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Cortese Francesca, grazie a lei che mi onora della sua attenzione. Quanto al suo quesito, le faccio "rispondere" dalla Treccani:
 ùnghio s. m. – Forma rara o scherz. per unghia: per nascondere la propria emozione si grattava un orecchio con il lunghissimo u. del mignolo sinistro (Tomasi di Lampedusa).


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