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La resistenza agli anglicismi 

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di Claudio Antonelli (da Montréal)

Per molti, in Italia, gli anglicismi sono inarrestabili. In Francia, invece, esistono regole dirette ad impedire l’abuso di anglicismi, e di esse è fatto un uso efficace grazie all’Académie française e a governanti che nonostante i tanti difetti mai e poi mai abbasserebbe la dignità della propria Nazione dando un nome inglese ad una sua legge. Del resto, il computer in Francia si chiama ordinateur, mentre il mouse è chiamato souris. Di che far scompisciare gli italiani… Nel linguaggio istituzionale in Francia non sono ammessi termini che non siano francesi. In Québec, dove io risiedo, l’Office québécois de la langue française produce lessici per fornire l’equivalente francese dei termini inglesi, con continui aggiornamenti. In Italia, il minimo tentativo di protezione della lingua nazionale suscita sarcasmi e derisioni, non solo, ma persino denunce e accuse di voler far rinascere il fascismo. Un fascismo che è vivo e vegeto, allora, in Svizzera, in Francia, in Belgio, in Spagna e in tutti quei paesi dove esistono regole dirette a proteggere la lingua nazionale. 

Tentativi di italianizzare certi termini talvolta avvengono nel Bel Paese, grazie ad iniziative estemporanee. Ad esempio “to set” (predisporre, configurare) ha generato settare, e “to master” ha fatto nascere masterizzare (“fare copie di un disco ottico”), “to implement" (realizzare, condurre a termine, specie nel campo informatico) ha dato luogo a implementare, e "to post" ha dato nascita ad un italianissimo postare. Questi adattamenti, secondo me, indicano la strada da seguire. So che la cosa farà sobbalzare gli ossessionati dal “suona bene - suona male” e alle orecchie dei quali sia killer che killeraggio suonano molto bene, vintage procura loro addirittura un orgasmo, mentre settare (eppure abbiamo già rassettare) e masterizzare danno loro i brividi e mandano i loro nervi in tilt. 

L’inglese, prescindendo dalla sua efficacia comunicativa, è la lingua di scelta per gli italiani a causa anche del presunto innalzamento culturale ch’essa dà a chi la usa. È la lingua del padrone se proprio vogliamo, e quindi anche i subordinati ne fanno uso tra di loro nei quartieri della servitù. Ma in cucina, fortunatamente, la nostra lingua ricchissima di termini anche dialettali, designanti la grandissima varietà di alimenti e specialità, non teme rivali. Basti pensare alla varietà dei tipi di pasta, ognuno col suo glorioso nome, cui io contrappongo l’hot dog simbolo della cucina a stelle e strisce. E a questo proposito posso dire che in un mio articolo proposi di ribattezzare “cane caldo” l’hot dog, seguendo l’ammirevole esempio linguistico dei franco-quebecchesi che hanno coniato, con successo, il termine “chien chaud”. 

 Se l'uso dell’inglese da parte del potere e degli intellettuali e da parte del popolo fosse dovuto unicamente alla capacità espressiva dell’inglese, noi non troveremmo anglicismi erronei o imprecisi, oppure ridotti ad una sola delle connotazioni che hanno in inglese. Basti pensare alla parola box, di cui gli italiani non si servono mai nel senso di scatola che pur è il suo uso più diffuso nella lingua originaria. Il termine trolley, nell’uso italiano, si riferisce unicamente alla valigia, la normale valigia provvista di rotelle. Boss è usato soprattutto in riferimento alla malavita. Qualunque malavitoso per gli italiani merita l’appellativo di boss. Da parte mia non dirò, né in italiano né in inglese, quale appellativo meriterebbero questi italiani pateticamente e balordamente aspiranti anglofoni. 



(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)



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