Dal sito "Treccani"
Tutto ciò che hai sempre voluto sapere sul linguaggio e sulle lingue
a cura di Francesca Masini e Nicola Grandi
Cesena, Caissa Italia Editore, 2017 (rist. 2019)
di Salvatore Claudio Sgroi
di Salvatore Claudio Sgroi
Tutto ciò che hai sempre voluto sapere sul linguaggio e sulle lingue, a cura di F. Masini e N. Grandi, è un aureo volumetto destinato ai non-specialisti, curiosi di capire che cos'è la linguistica, nella molteplicità delle varie specializzazioni che hanno dato luogo a varie "scienze del linguaggio".
Un libro di grande leggibilità, di seria divulgazione scientifica, -- meritatamente "Vincitore del Premio nazionale di Divulgazione scientifica" -- che in 44 capitoli, con percorsi di lettura liberi, non unidirezionali, ognuno contenuto in 4 pagg., di ben 39 studiosi, con diversa collocazione accademica nell'università, affronta criticamente ritagliando con varia abilità un tema centrale nell'ambito dei vari settori di studio. E una nota bibliografia essenziale, alla fine di ogni capitoletto, per chi ne voglia sapere di più.
I 44 capitoli sono raggruppabili, con inevitabile margine di soggettività, per temi diversi e per varie discipline.
Un avvio bibliografico alle scienze del linguaggio, costituito da alcuni classici della linguistica, è il cap. 43 di S. Scalise (Dieci opere che un linguista deve leggere), scelta inevitabilmente "incompleta e parzialmente soggettiva" (p. 181; per conto mio avrei aggiunto per es. Pensiero e linguaggio di L.S. Vygotskij 1933 tr. it. Laterza 1990).
L'approccio descrittivista non prescrittivista nell'analisi delle lingue del mondo, tipico della linguistica, è ben chiarito fin dal cap. 1 da N. Grandi - F. Masini (La linguistica, questa sconosciuta), quando avvertono che il linguista non è un banale "poliglotta" (p. 13) o parlante più lingue, né tanto meno un "grammar nazi" (p. 15) cioè "un fustigatore dell'uso scorretto della lingua" (ibid.) ovvero un "correttore seriale di [presunti] errori" (p. 12).
Oggetto di studio della linguistica è la facoltà di linguaggio e le lingue del mondo attuali (oltre 7mila p. 19) e del passato (cap. 2 N. Grandi, Parliamo una lingua o un linguaggio?). L' approccio è di tipo sia teorico che applicato (cap. 44 A. Sansò, A che cosa serve la linguistica?). Le lingue del mondo sono studiate nella prospettiva della tipologia linguistica (cap. 6 C. Mauri - A. Sansò, Come variano le lingue nel mondo?), degli universali linguistici (cap. 7 G.F. Arcodia, Quando le lingue sono tutte uguali), della complessità linguistica (cap. 8 G.F. Arcodia, Esistono lingue facili e lingue difficili?), del rapporto tra linguaggio e pensiero (cap. 9 F. Masini, Le lingue influenzano il nostro modo di pensare?).
Il lettore è informato sugli ambiti classici della linguistica: Scrittura (cap. 41, G. Sanga: Quanti modi ci sono per scrivere le lingue? I sistemi di scrittura); -- Fonologia (cap. 33 A. Vietti, Quali e quanti suono per le lingue?); -- Morfologia (cap. 34 C. Iacobini - A. Thornton, Come si costruiscono le parole?); -- Sintassi (cap. 35 M. Frascarelli, Come si costruiscono le frasi?); -- Semantica (cap. 36 A. Lenci, Come si costruiscono i significati?; cap. 37 F. Masini, Quando il linguaggio non è letterale); -- Pragmatica (cap. 38 C. Mauri, Possiamo fare cose con le lingue?); -- Linguistica storico-comparata (cap. 5 C. Gianollo, Quando le lingue sono parenti, cap. 24 E. Magni, Come cambiano le lingue?, cap. 31 D. Baglioni Come ricostruiamo la storia delle parole?: l'etimologia diacronica). L'oggetto concreto degli usi linguistici, inevitabilmente parziali, sottoposti all'analisi è a sua volta attingibile a fonti diverse (cap. 32 F. Tamburini Quali risorse usa (o crea) il linguista?: corpora, dizionari, atlanti).
La linguistica, data la complessità del suo oggetto di studio, costituito dal linguaggio e dagli idiomi del mondo, si rifrange come accennato in una molteplicità di "scienze del linguaggio", tra cui: la Paleoantropologia attenta al problema dell'origine del linguaggio (cap. 3 T. Pievani, La lingua ci ha salvato dall'estinzione?: Homo sapiens); -- la Neurolinguistica (cap. 26 V. Bambini, Dove risiede il linguaggio?; cap. 27 A. Cardinaletti, Quando non riusciamo (più) a parlare: patologia del linguaggio); -- l'Interlinguistica (cap. 25 F. Gobbo, Lingue inventate); -- la Linguistica computazionale (cap. 15: A. Lenci, Che lingua parlano i computer?: lingua naturale vs lingua artificiale); -- la Psicolinguistica (cap. 16 M. Vayra, Come si impara ['acquisisce'] la lingua nativa?: acquisizione L-1; cap. 17 R. Pugliese, Come si impara una lingua straniera); -- la Traduttologia (cap. 39 A. Manco, Possiamo dire la stessa cosa in un'altra lingua?); -- la Zoosemiotica (cap. 4 S. Masin, Animali parlanti... solo nelle favole?); -- la Semiotica (cap. 28 A. Di Rienzo - V. Volterra, Altre voci: Lingua dei segni; cap. 40 M. Voghera, Perché gesticoliamo?: linguaggio dei gesti).
Nell'ambito della sociolinguistica rientrano non pochi capp. centrati sulla variazione diafasica (con registri e linguaggi settoriali), variazione diamesica, diatopica, diastratica (cap. 10 M. Cerruti, Una frase giusta ma al momento sbagliato; cap. 11 G. Berruto, Parliamo come scriviamo; cap. 13 A. Scala, Parlare per non farsi capire?, cap. 14 F. Chiusaroli, ♯scritture brevi); -- su lingua vs dialetto (cap. 12 G. Iannàccaro, Quando finisce una lingua e comincia un dialetto?); -- sul plurilinguismo (cap. 18 S. Dal Negro, Quando le lingue sono più d'una); sul contatto interlinguistico (cap. 19 R. D'Alessandro, Come si mescolano le lingue?: "con buona pace dei fautori della petizione ♯dilloinitaliano" a favore di "alternative italiane a parole inglesi" p. 86); -- sulla politica linguistica (cap. 20 F. Toso, Quando una lingua è di minoranza; cap. 21 G. Iannàccaro, Quale politica per le lingue?); -- su morte e nascita di una lingua (cap. 29 A. Marra, Come muore una lingua?, cap. 30. B. Turchetta, Come nasce una lingua?: i pidgin).
Come già detto, G. Grandi e F. Masini si preoccupano nel cap. 1 di non confondere il linguista col "poliglotta" (p. 11) o col grammarnazi, cioè col "correttore seriale di errori" (p. 12). Come dire che la linguistica e i linguisti si occupano del linguaggio e delle lingue in prospettiva descrittivista e non prescrittivista, in quanto sono costituzionalmente anti-puristi. Nel cap. 42 C. De Santis (Cinque cose da sapere sulla lingua che parliamo ogni giorno, pp. 177-80) appare invece paradossalmente sostenitrice di punti di vista puristici su vari problemi, che fanno a pugni con una visione scientifica del linguaggio.
(i) Riguardo al congiuntivo, l'A. sostiene infatti che “Il congiuntivo esprime spesso una ‘modalità’: dubbio, probabilità o eventualità nelle frasi completive (Penso sia grave; Credo che sia morto; Per chi temesse; ecc.); possibilità nelle frasi ipotetiche (se fosse morto...)” (p. 177).
Ma si tratta di fanta-grammatica, com'è stato dimostrato da tempo e da più parti. I contro-esempi al riguardo abbondano: per es. (a) Credo che Dio esista in bocca a credenti "sinceri" che non mettono in dubbio la loro credenza; -- (b) Benché/sebbene piova, io esco = anche se piove, io esco; -- (c) Il fatto che lui venga, mi fa piacere, ecc. Nel periodo ipotetico, la eventualità è indicata solo dalla congiunzione se non già dal congiuntivo, tant'è vero che il parlante può anche dire all'indicativo: Se era morto..., con pari grado di ipoteticità.
Allorché poi la stessa A. aggiunge: "ma è tollerato l'uso dell'indicativo al posto del congiuntivo/condizionale (se accettava te lo dicevo)" e che "quando il congiuntivo e l'indicativo sono entrambi ammessi, il primo è percepito come forma più accurata e attenuata, quindi più cortese (Voglio che lo dici vs Voglio che tu lo dica)", -- non sembra rendersi conto di cadere in tal modo in contraddizione, in quanto attribuisce alla scelta del "cong. / indic." ora un valore semantico versus (secondo la tradizionale teoria grammaticale) ora un valore stilistico vel (secondo la teoria sociolinguistica). Senza dire del ricorso alle etichette "ammesso" e "tollerato" che sa di puzza sotto il naso, ed è poco confacente con l'atteggiamento descrittivista proprio del linguista.
(ii) Passando al piuttosto che "con valore disgiuntivo inclusivo" di 'oppure' (pp. 178-79), l'A. osserva che risale "agli anni Novanta" del '900 ed è proveniente dal "parlato delle classi agiate del Nord" (p. 179), ma lo ritiene -- con giudizio puristico -- un "uso improprio", un "vezzo sintattico, sconsigliabile sia nel parlato e sia nello scritto" (ibid.), per concludere che "i linguisti" sono stati indotti alla fine "alla rassegnazione" (ibid.).
(iii) Quanto agli "anglismi" (p. 180), l'atteggiamento dell'A. è di totale chiusura, a favore di una "purezza" linguistica o "fedeltà alla lingua" d'altri tempi. L'A. si oppone ai prestiti "integrali" (blogger) o "ibridi" (chattare), ovvero ai doni stranieri a causa del loro "effetto di opacità e tecnicizzazione" (jobs act, spending review), o, in quanto non "prestiti di necessità" ("leader per capo, web per rete"), ed anche agli stessi "calchi" (missione 'obiettivo'). La conclusione dell'A. è che gli anglicismi avrebbero il risultato di "renderci più provinciali che internazionali" (ibid.) e quindi: "proviamo a dirlo in italiano: quasi sempre ci riusciremo" (ibid.).
Naturalmente una posizione del genere stride non poco con la presenza di anglicismi nel testo da parte degli altri linguisti, e con la posizione di chi come R. D'Alessandro, occupandosi del contatto interlinguistico (cap. 19 Come si mescolano le lingue?), descrittivamente osserva in polemica con la posizione dei puristi:
"Se, per esempio, la lingua di contatto è ritenuta prestigiosa, i parlanti cercheranno di usarla di più, e prenderanno in prestito da essa tutto il possibile. Pensate all'inglese, a location, briefing, party, cool, top, glamour, fashion, misunderstanding o selfie: con buona pace dei fautori della petizione ♯ dilloinitaliano, che proponevano una lista di alternative italiane a parole inglesi, molte di esse sono ormai entrate nell'uso quotidiano" (p. 86).
(iv) Più descrittivista è invece l'analisi della frase "segmentata" a me mi piace (p. 178), mentre è omessa l'analisi del più intrigante pur preannunciato A me mi preoccupa (p. 177). Di a me mi piace l'A. fa presente con giudizio non proprio descrittivista che va "tollerato nei contesti appropriati, in particolare nel parlato informale" (p. 178), e riprende l'osservazione che "l'errore di oggi, in molti casi, è la regola di domani" (ibid.).
(v) Infine, più descrittivista del precedente è l'analisi del "femminile di nomi di cariche" pubbliche (p. 17), per es. sindaca, ministra, assessora, e dei "nomi di professioni" (ibid.), per es. medica, avvocata, ingegnera.